sabato 21 maggio 2011

Acquisti verdi della Pubblica Amministrazione



AUTORITA' PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI E FORNITURE

COMUNICATO

Rilevazione degli appalti che rispettano 
i criteri di  sostenibilita'
ambientale (Green Public Procurement-GPP)
http://www.gazzettaufficiale.it/guridb//
dispatcher?task=attoCompleto&service=1&datagu=
2011-05-19&redaz=11A06297&connote=true

L'Umbria e la Green Economy: brevi riflessioni


L’Umbria e la Green Economy

Brevi riflessioni


In Umbria si continua a parlare di green economy. Il DAP lo ha posto al centro della politica regionale ritenendo che fosse il nuovo modello di sviluppo.
Ma è davvero così? Procediamo per gradi.
Innanzitutto parlare di green economy significa avere il coraggio di mettere in discussione un modello di produzione e scambio c.d. lineare per passare ad un modello invece circolare in cui i prodotti che vengono utilizzati per realizzare i beni, alla fine del ciclo di vita, possono essere recuperati per essere reimmessi nel circuito produttivo.  In questo senso bisogna allora spingere ed incentivare il sistema produttivo a progettare e realizzare beni che abbiano una composizione più semplice in termini di materiali impiegati, che abbiano un ciclo di vita più lungo e multiuso e che a fine vita possano essere agevolmente riciclati.
Per fare ciò è necessario innanzitutto capire qual è lo scenario all’interno del quale deve svilupparsi la green economy. Sotto questo aspetto non è possibile seguire un approccio settoriale ma è necessario elaborare politiche globali in grado di considerare tutti gli aspetti ambientali. Non volendo arrivare alle estreme conclusioni proposte dalla pur valida teoria della decrescita felice e volendo rimanere, per così dire, organici al sistema, è quanto meno non più procrastinabile seguire un approccio basato su uno sviluppo sostenibile. Ed affinchè le parole ed i concetti abbiano ancora un senso e non diventino meri slogan, per sviluppo sostenibile si intende lo sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni così come definito nel “Rapporto Brundtland” del 1987.
Se così è, non si può prescindere da un’analisi complessiva del sistema. Si può avere sviluppo sostenibile e, conseguentemente, si può sviluppare una green economy, soltanto se si ha uno sguardo d’insieme dell’ambiente. E poiché oggi ogni settore è dominato dal diritto e dalle regole un utile strumento per definire lo scenario entro il quale sviluppare questa nuova politica economica in Italia è rappresentato dalla Strategia nazionale per la biodiversità approvata in Conferenza Stato-Regioni l’8 ottobre 2010. Essa individua 15 aree di intervento che sostanzialmente abbracciano l’interno habitat che ci circonda. Parimenti utile è il rapporto UNEP sulla Green Economy pubblicato all’inizio del 2011.
Così concretamente definito l’ambiente ecco che si pone l’esigenza di varare politiche di pianificazione in grado di valutare ogni possibile impatto negativo sull’ambiente. L’ambiente, dunque, si erge a bene primario di fronte al quale tutti gli altri interessi diventano secondari. E ciò non per un fattore puramente ideologico bensì per un’esigenza di sopravvivenza della specie. Tutti i rapporti mondiali mettono oramai in luce i limiti del pianeta connessi all’incremento demografico ed al crescente sfruttamento delle risorse.
In altre parole il rapporto fra capitale naturale critico – inteso quale il livello minimo necessario alla riproducibilità biologica dell’ecosistema -  e la capacità di carico – intesa come la quantità di inquinamento e di rifiuti che i pianeta è in grado di sopportare – è entrato in crisi. I due concetti sono, infatti, strettamente collegati nel senso che quando un sistema oltrepassa la propria capacità di carico, scende oltre il limite del capitale naturale critico.
Se a ciò si aggiunge che tale rottura si è verificata per soddisfare prevalentemente i bisogni dell’Occidente e che a questi potrebbero a breve sommarsi anche quelli dei c.d. Paesi in via di sviluppo, si ha la dimensione di quanto grave sia la situazione.
Oggi, lo stato ambientale si sta sostituendo allo stato sociale poiché è cresciuta la consapevolezza di dover tutelare l’ambiente e perché un ambiente sano contribuisce a migliorare la qualità della vita. Tant’è che anche in Italia è stata costituita una commissione, su iniziativa del CNEL e dell’ISTAT, per individuare ulteriori indicatori del PIL che possano misurare proprio il benessere ambientale
Le tematiche ambientali non rappresentano più un argomento di conversazione di un’elite di idealisti. Come osservato da Massimo Severo Giannini nel  1972 quando la forza distruttiva dell’uomo supera la fora costruttiva ecco che sorge l’esigenza di far assurgere l’interesse all’ambiente quale interesse giuridicamente tutelato. Da allora, a livello legislativo, soprattutto a livello europeo e mondiale molto è stato fatto. Tuttavia, si rischia di rendere vano ogni sforzo se non si comprende che le politiche ambientali devono avere un ruolo primario all’interno delle politiche pubbliche e non possono essere relegate a settori di nicchia o, peggio ancora, rappresentare l’occasione per mere operazioni di speculazione imprenditoriale in nome dello sviluppo sostenibile.
Partendo da queste considerazioni, si va affermando una convinzione: per avviare uno sviluppo durevole è oggi necessario puntare su una crescita ecologicamente sostenibile.
Ecco, allora, che in questo scenario, l’Economia Verde rappresenta la strada maestra poiché coniuga sviluppo economico, livelli occupazionali e tutela dell’ambiente. 
Nel rapporto UNEP sull’Economia Verde, pubblicato a febbraio 2011, si legge che è tale «un’economia che comporta un miglioramento del benessere umano e dell’eguaglianza sociale, riducendo in maniera significativa i rischi per l’ambiente e la scarsità delle risorse. Nella sua forma più semplice, si caratterizza per un debole tasso di emissione del carbone, l’utilizzazione razionale delle risorse e l’inclusione sociale. In questo tipo di economia, la crescita dei ritorni e degli impieghi deve provenire da investimenti pubblici e privati che riducono le emissioni di carbone e l’inquinamento, rafforzano l’utilizzo razionale delle risorse e l’efficienza energetica e impediscono la perdita della biodiversità e dei servizi ambientali.
E’ necessario che questi investimenti siano catalizzati e supportati da spese pubbliche mirate, una riforma delle politiche e delle modifiche della regolamentazione».
A tal fine  vengono individuati 11 settori chiave  - agricoltura, pesca, acqua, foreste, energie rinnovabili, industria, rifiuti, edilizia, trasporti, turismo e città - per superare l'attuale modello economico basato su sprechi e risorse poco sostenibili.  Principi già in parte presenti nel contesto della strategia della Commissione europea «Europa 2020 - Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva».
L’ambiente diventa elemento centrale delle politiche di sviluppo poiché rappresenta il contenitore all’interno e nel rispetto del quale può concretizzarsi una crescita sostenibile.
Si rende, però, necessario adottare misure d’intervento strutturali caratterizzate da una pianificazione complessiva del territorio che possa, nel breve-medio periodo, determinare una riconversione degli attuali modelli industriali ed al contempo promuoverne dei nuovi. Sarebbe, infatti, un grave errore seguire un approccio settoriale proponendo e perseguendo modelli di sviluppo per singole aree di intervento del tutto slegate dai restanti comparti.
Ad esempio, nel settore dei rifiuti non è immaginabile perseguire gli obiettivi dettati da ultimo dalla Direttiva 98/2008/CE se si prescinde dalle azioni di prevenzione che impongono l’adozione di un diverso modello produttivo. Nel rapporto UNEP sulla Economia Verde viene espressamente affermato che l’incremento del volume e la complessità dei rifiuti unito alla crescita economica possono mettere a serio rischio l’ecosistema e la vita umana.
Così come nel settore energetico non è pensabile di soddisfare il fabbisogno energetico utilizzando le fonti rinnovabili oppure ridurre le immissioni di gas di serra se non si perseguono politiche di miglioramento dell’efficienza energetica. Al riguardo è emblematico quanto dichiarato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite il quale, annunciando che il 2012 sarà l’anno  internazionale per dell’energia sostenibile, ha affermato che «la nostra sfida  è la trasformazione. Abbiamo bisogno di una rivoluzione globale per l'energia pulita, una rivoluzione che renda l'energia disponibile e accessibile a tutti. È essenziale per rendere minimi i rischi climatici, per ridurre la povertà e migliorare la salute del Pianeta, la crescita economica, la pace e la sicurezza».
Per fare tutto ciò, oltre a quanto detto in precedenza, è necessario sviluppare un nuovo modello di governance ambientale sì da creare una sinergia fra amministrazione pubblica, sistema imprenditoriale, associazioni ambientaliste e cittadini improntato innanzitutto alla diffusione di una nuova consapevolezza verso le tematiche ambientali.
In questa ottica è indispensabile innanzitutto procedere con una capillare attività di informazione e formazione che possa riguardare le scuole, le amministrazioni pubbliche, le imprese ed i cittadini.
Creare poi stabili forme di collaborazione con il sistema imprenditoriale è fondamentale dal momento che esso è il principale attore dello sviluppo economico ed occupazionale.
Fallito il vecchio modello produttivo, infatti, le imprese si trovano oggi a fronteggiare la concorrenza sul terreno della tecnologia, della conoscenza, dell’innovazione e della ricerca. In questo senso, economia della conoscenza ed Economia Verde sono due facce della stessa medaglia.
Tornando all’Umbria si osserva che nel DAP 2011 si legge, fra l’altro, che «occorre mettere in campo azioni fortemente innovative, orientate a diffondere l’interesse e l’attenzione per le opportunità di nuovi business derivanti dalla ricerca, dalla sua applicazione e dalla combinazione delle diverse 'tecnologie verdi', costruendo in tal modo un orizzonte prospettico per il sistema produttivo regionale».
Nei fatti, tuttavia, nulla si muove.