martedì 28 giugno 2011

Istituzione del Comitato paritetico per la Biodiversita', dell'Osservatorio nazionale per la Biodiversita' e del Tavolo di consultazione.

Sulla Gazzetta Ufficiale n. 143 del 22 giugno 2011 è stato pubblicato il DM 6 giugno 2011 che istituisce il Comitato paritetico per la Biodiversita', l'Osservatorio nazionale per la Biodiversita' e il Tavolo di consultazione in attuazione alla strategia nazionale per la biodiversità approvata il 7 ottobre 2010
http://www.gazzettaufficiale.it/guridb/dispatcher?service=1&datagu=2011-06-22&task=dettaglio&numgu=143&redaz=11A08165&tmstp=1309285279212.

lunedì 20 giugno 2011

I reati ambientali nella direttiva 99/2008

 

I reati ambientali nella Direttiva 99/2008/CE

1.    La direttiva 99/2008 del 19 novembre 2008 si colloca nell’ambito della politica di tutela dell’ambiente, perseguita con forza da parte dell’Unione Europea. All’interno della profonda crisi economica ma soprattutto ecologica che attanaglia il Pianeta, l’Europa ha impresso una forte accelerazione ai processi di tutela dell’ambiente anche attraverso una politica tesa ad uniformare le legislazioni statali.
L’ambiente, dunque, si erge a bene primario di fronte al quale tutti gli altri interessi diventano secondari. E ciò non per un fattore puramente ideologico bensì per un’esigenza di sopravvivenza della specie. Tutti i rapporti internazionali mettono oramai in luce i limiti del pianeta connessi all’incremento demografico, al crescente sfruttamento delle risorse e al costante aumento dell’inquinamento.
In altre parole il rapporto fra capitale naturale critico – inteso quale il livello minimo necessario alla riproducibilità biologica dell’ecosistema -  e la capacità di carico – intesa come la quantità di inquinamento e di rifiuti che il pianeta è in grado di sopportare – è entrato in crisi. I due concetti sono strettamente collegati nel senso che quando un sistema oltrepassa la propria capacità di carico, scende oltre il limite del capitale naturale critico.
Se a ciò si aggiunge che tale rottura si è verificata per soddisfare prevalentemente i bisogni dell’Occidente e che a questi potrebbero a breve sommarsi anche quelli dei c.d. Paesi in via di sviluppo, si ha la dimensione di quanto grave sia la situazione.
In questo quadro, dunque, tutelare l’ambiente diventa una priorità non procrastinabile che deve essere garantita anche attraverso efficienti ed efficaci normative sanzionatorie.
2.    Prima di entrare nel merito della direttiva 99/2008, è necessario svolgere alcune considerazioni sulla competenza comunitaria in materia penale che ha ricevuto un importante contributo dal Trattato di Lisbona, entrato in vigore 1 dicembre 2009.
In particolare l’art. 69B stabilisce che il Parlamento europeo e il Consiglio “possono stabilire norme minime relative alla definizione di reati e di sanzioni in sfere di criminalità particolarmente gravi che presentano una dimensione transnazionale derivante dal carattere o dalle implicazioni di tali reati o da una particolare necessità di combatterli su basi comuni”. Il Trattato definisce tali sfere di criminalità individuandole nel terrorismo, tratta degli esseri umani e sfruttamento sessuale delle donne e dei minori, traffico illecito di stupefacenti, traffico illecito di armi, riciclaggio di capitali, corruzione, contraffazione di mezzi di pagamento, criminalità informatica e criminalità organizzata e riserva al Consiglio, in una ottica di adeguato contrasto alle forme di evoluzione della criminalità, il potere di adottare decisioni che individuino altre sfere di criminalità.
Qualora, tuttavia, un membro del Consiglio ritenga che un progetto di direttiva incida su aspetti fondamentali del proprio ordinamento giuridico penale, può chiedere che il Consiglio europeo sia investito della questione. In tal caso la procedura legislativa ordinaria è sospesa. Previa discussione e in caso di consenso, il Consiglio europeo, entro quattro mesi da tale sospensione, rinvia il progetto al Consiglio, ponendo fine alla sospensione della procedura legislativa ordinaria.
In caso di disaccordo e sussistendone i requisiti, si può comunque dare avvio alla procedura di cooperazione forzata.
Sotto questo profilo non vi è dubbio che la tecnica di redazione utilizzata dal legislatore comunitario che prevede l’inserimento di norme minime incide profondamente sulla tipicità del reato, sull’elemento soggettivo ed oggettivo e sulla sanzione penale da applicare.
Da ciò ne discende un’influenza sempre maggiore del diritto comunitario sul diritto interno.
Già la Corte di Giustizia con la sentenza del 13 settembre 2005 nella causa 176 del 2003  aveva affermato che La circostanza che la Comunità non disponga in via generale di una competenza in materia penale non impedisce al legislatore comunitario di disporre un'armonizzazione delle legislazioni penali nazionali allorché ciò sia necessario al fine di garantire la piena efficacia delle norme che esso emana in materia di tutela dell'ambiente.
Un ruolo fondamentale è ricoperto poi dalla sentenza del 23 ottobre 2007 nella causa C440/2005 della Grande sezione della Corte di Giustizia dove viene affermato che “in principio, la legislazione penale, così come le norme di procedura penale, non rientrano nella competenza della Comunità. Tuttavia, il fatto che il legislatore comunitario, allorché l'applicazione di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive da parte delle competenti autorità nazionali costituisce una misura indispensabile di lotta contro danni ambientali gravi, può imporre agli Stati membri l'obbligo di introdurre tali sanzioni per garantire la piena efficacia delle norme che emana. Per contro, la Comunità non può determinare il tipo e il livello delle sanzioni penali e procedere quindi all'armonizzazione delle legislazioni penali degli Stati membri”.
Alla luce del Trattato di Lisbona, poi, ogni settore che soddisfa le esigenze del progetto europeo diviene, potenzialmente, oggetto della competenza penale prevista dall’art. 69B.
Di qui la nuova dimensione del diritto comunitario che è oramai avviato a determinare forme di incidenza sempre maggiori verso il diritto penale interno.
3.    La competenza comunitaria a prevedere obblighi di penalizzazione pone tuttavia il  problema del rapporto con il principio di legalità degli Stati membri con particolare riferimento alla riserva assoluta di legge in materia penale.
In dottrina si è sempre sostenuto che la legislazione comunitaria e la primazia del diritto comunitario incontrano un ostacolo, in materia di diritto penale, costituito dalla previsione della riserva assoluta di legge e più a monte dalla vigenza, nel nostro ordinamento interno, del principio di legalità inteso sia nella sua accezione formale quanto in quella sostanziale. Tuttavia tale assunto, alla luce della sentenza del 13 settembre 2005  C 176/03 e 23 ottobre 2007 C440/2005 della Corte di Giustizia, ed in virtù delle esigenze di tutela penale introdotte dal Trattato di Lisbona, necessita di una rivisitazione in chiave critica.
Oggi, infatti, vi è l’esigenza di trovare un punto di equilibrio fra diritto comunitario e diritto interno in materia penale anche perché la mancata osservanza al precetto comunitario da parte dello Stato membro comporta  l’apertura di una procedura di infrazione per mancata ottemperanza.
Se così è, il principio della riserva di legge sembra dunque destinato inesorabilmente a soccombere quanto meno nella sua dimensione sostanziale. Ne residuerà il rispetto della riserva di legge sotto il profilo formale, atteso che il legislatore nazionale sarà chiamato a dare attuazione alle direttive in materia penale in funzione di esecutore delle scelte di penalizzazione provenienti dal legislatore europeo.
La norma penale comunitaria, come correttamente osservato da alcuni autori, avrà la natura di una “legge penale in bianco inversa” dove viene rimesso al legislatore nazionale il compito di descrivere nel dettaglio e sanzionare penalmente una condotta il cui disvalore penale le viene ad essere assegnato direttamente dalla norma comunitaria.
4.    Venendo ora all’esame della Direttiva 2008/99/CE si osserva che i termini di reperimento erano stati fissati al 26 dicembre 2010 e l’Italia, a tutt’oggi, ancora non vi ha provveduto.
La direttiva ricopre una notevole importanza perchè obbliga gli stati membri a prevedere nella loro legislazione nazionale sanzioni penali maggiormente dissuasive ed adeguate tanto per le persone fisiche quanto per le persone giuridiche in relazione ad una serie di reati in materia di tutela ambientale specicatamente individuati.  La scelta di obbligare gli Stati a prevedere sanzioni penali è spiegata nel 3° considerando con il fatto che queste sono indice di una riprovazione sociale di natura qualitativamente diversa rispetto alle sanzioni amministrative o ai meccanismi risarcitori di diritto civile
La motivazione della direttiva è esplicitata nel 2° considerando là dove si afferma che “la Comunità è preoccupata per l’aumento dei reati ambientali […] che rappresentano una minaccia per l’ambiente ed esigono pertanto una risposta adeguata”.
Sotto questo profilo il legislatore comunitario ritiene che per conseguire un’efficacia tutela dell’ambiente siano necessarie sanzioni maggiormente dissuasive.
Tant’è che all’art. 5 prevede che gli Stati membri debbano adottare misure necessarie per assicurare che i reati previsti nella direttiva siano puniti con sanzioni penali efficaci, proporzionate e dissuasive disponendo, altresì che l’inosservanza di un obbligo di agire può avere gli stessi effetti del comportamento attivo e dovrebbe quindi essere parimenti passibile di sanzioni adeguate.
Scorrendo al direttiva si nota poi che al 12° considerando si afferma che “poiché la presente direttiva detta soltanto norme minime, gli Stati membri hanno facoltà di mantenere in vigore o adottare misure più stringenti finalizzate ad un’efficace tutela penale dell’ambiente”.
Il fatto che la Direttiva faccia riferimento alle norme minime esclude dunque che il legislatore nazionale possa prevedere sanzioni amministrative in luogo di quelle penali.
Nello specifico, la direttiva 99/2008 prevede all’art. 3 che gli stati membri prevedano e puniscano nella loro normativa  una serie di reati qualora siano commessi intenzionalmente o quanto meno per grave negligenza.
Sotto questo aspetto se si dovesse ricondurre la grave negligenza alle categorie del diritto interno si dovrebbe pensare alla c.d. colpa cosciente con tutto ciò che questo comporta sotto il profilo dell’elemento soggettivo e della prova. Sul punto un intervento chiarificatore da parte del legislatore italiano sarebbe stato quanto mai auspicato ma purtroppo non si rinviene nello schema di recepimento della direttiva.
In particolare i reati previsti nella direttiva riguardano 9 fattispecie e precisamente:
a)      lo scarico, l’emissione o l’immissione illeciti di un quantitativo di sostanze o radiazioni ionizzanti nell’aria, nel suolo o nelle acque che provochino o possano provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, alla qualità del suolo o alla qualità delle acque, ovvero alla fauna o alla flora;
b)       la raccolta, il trasporto, il recupero o lo smaltimento di rifiuti, comprese la sorveglianza di tali operazioni e il controllo dei siti di smaltimento successivo alla loro chiusura nonché l’attività effettuata in quanto commerciante o intermediario (gestione dei rifiuti), che provochi o possa provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, alla qualità del suolo o alla qualità delle acque, ovvero alla fauna o alla flora;
c)      la spedizione di rifiuti, qualora tale attività rientri nell’ambito dell’articolo 2, paragrafo 335, del regolamento (CE) n. 1013/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006, relativo alle spedizioni di rifiuti (1), e sia effettuata in quantità non trascurabile in un’unica spedizione o in più spedizioni che risultino fra di loro connesse;
d)     l’esercizio di un impianto in cui sono svolte attività pericolose o nelle quali siano depositate o utilizzate sostanze o preparazioni pericolose che provochi o possa provocare, all’esterno dell’impianto, il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, alla qualità del suolo o alla qualità delle acque, ovvero alla fauna o alla flora;
e)      la produzione, la lavorazione, il trattamento, l’uso, la conservazione, il deposito, il trasporto, l’importazione, l’esportazione e lo smaltimento di materiali nucleari o di altre sostanze radioattive pericolose che provochino o possano provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, alla qualità del suolo o alla qualità delle acque, ovvero alla fauna o alla flora;
f)       l’uccisione, la distruzione, il possesso o il prelievo di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette, salvo i casi in cui l’azione riguardi una quantità trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie;
g)      il commercio di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette o di parti di esse o di prodotti derivati, salvo i casi in cui l’azione riguardi una quantità trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie;
h)      qualsiasi azione che provochi il significativo deterioramento di un habitat all’interno di un sito protetto;
i)        la produzione, l’importazione, l’esportazione, l’immissione sul mercato o l’uso di sostanze che riducono lo strato di ozono.
Con riguardo a questi reati la Direttiva introduce il reato di favoreggiamento prevedendo, all’art. 4 che “gli Stati  Membri provvedano affinché siano punibili penalmente il favoreggiamento e l’istigazione a commettere intenzionalmente le attività di cui all’articolo 3”.
Altra importante novità è rappresentata dall’introduzione della responsabilità delle persone giuridiche quando i reati di cui agli artt. 3 e 4 siano  stati commessi a loro vantaggio da qualsiasi soggetto che detenga una posizione preminente in seno alla persona giuridica, individualmente o in quanto parte di un organo della persona giuridica, in virtù:
a) del potere di rappresentanza della persona giuridica;
b) del potere di prendere decisioni per conto della persona
giuridica; o
c) del potere di esercitare un controllo in seno alla persona giuridica.
Gli Stati membri provvedono altresì affinché le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili quando la carenza di sorveglianza o controllo da parte di un soggetto di cui al paragrafo 1 abbia reso possibile la commissione di un reato di cui agli articoli 3 e 4 a vantaggio della persona giuridica da parte di una persona soggetta alla sua autorità.
La responsabilità delle persone giuridiche ai sensi dei paragrafi 1 e 2 non esclude l’azione penale nei confronti delle persone fisiche che siano autori, incitatori o complici dei reati di cui agli articoli 3 e 4.
Nella legislazione italiana era già presente un germe di responsabilità delle persone giuridiche in materia ambientale. Il riferimento si rinviene nell’art. 192 del d.lgs. 152/2006 in tema di abbandono di rifiuti. Sul punto, tuttavia, è intervenuta la Cassazione stabilendo che “in tema di tutela penale dell'ambiente, non è imputabile all'ente ai sensi del d.lg. 8 giugno 2001, n. 231 la responsabilità amministrativa per il reato di gestione non autorizzata di rifiuti, in quanto, pur essendovi un richiamo a tale responsabilità nell'art. 192, comma 4, d.lg. 3 aprile 2006, n. 152, difettano attualmente sia la tipizzazione degli illeciti che l'indicazione delle sanzioni(Cassazione penale, sez. III, 7 ottobre 2008, n.41329).
Alla luce di quanto sopra viene da chiedersi come mai l’Italia, che rappresenta una Nazione nella quale i fenomeni di ecomafia e di criminalità ambientale sono gravissimi e diffusi, non abbia colto l’occasione della Direttiva europea per introdurre reati delittuosi e sanzioni efficaci e dissuasive. Il recepimento della Direttiva, infatti, stando allo schema di recepimento approvato ad aprile scorso, è ben lontano da questo obiettivo. Se lo spirito europeo era, infatti, quello di assicurare un’adeguata tutela penale dell’ambiente, individuando una lunga serie di reati ambientali da punire con sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, l’Italia, si prepara a recepirla in maniera assolutamente formale, elaborando una legislazione penale ambientale debole, completamente inefficace e scarsamente deterrente. Tali norme incriminatrici di natura contravvenzionale non avranno alcun effetto dissuasivo poiché presentano pene irrisorie e tempi di prescrizione brevissimi.
Ed infatti, lo schema di decreto legislativo si limita a recepire le indicazioni della direttiva inserendo solo due articoli nel codice penale ritenendo, di fatto, già recepite le altre fattispecie con le norme contenute nelle attuali legislazioni speciali.
Gli articoli introdotti nel codice sono il 727 bis che riguarda l’Uccisione, distruzione, cattura, prelievo o possesso di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette con pene comprese da uno a sei mesi e con ammende che variano, a seconda delle fattispecie da 2.000 a 4.000 euro; e l’art.  733 bis (Danneggiamento di habitat) che prevede che Chiunque distrugge o comunque deteriora in modo significativo un habitat all’interno di un sito protetto è punito con l’arresto fino a diciotto mesi e con l’ammenda non inferiore a 3.000 euro.” Dove per habitat all’interno di un sito protetto si intende qualsiasi habitat di specie per le quali una zona sia classificata come zona a tutela speciale a norma dell’articolo 4, paragrafi 1 o 2, della direttiva 79/409/CE, o qualsiasi habitat naturale o un habitat di specie per cui un sito sia designato come zona speciale di conservazione a norma dell’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva 92/43/CE.
5.    Ora, analizzando in maniera più approfondita la direttiva 99/2008 si nota che essa elenca tutta una serie di azioni la cui punibilità dipende dal fatto che queste, oltre a violare le disposizioni di legge, arrecano o possono arrecare un grave pregiudizio all’ambiente e/o alle persone.
Lo schema di recepimento della direttiva, fatta eccezione per l’art. 727 bis e 733bis, rimanda, come detto, alle norme presenti già nel codice dell’ambiente o in altre leggi speciali le quali, a ben vedere, prevedono la violazione di aspetti formali quali la mancanza di autorizzazione, l’inosservanza della tenuta delle scritture ambientali ecc. e non già il danno ambientale causato.
Quindi, come osservato correttamente da Santoloci, non inquina chi inquina realmente ma chi non rispetta le regole formali per inquinare. Questo fa sì che la tutela richiesta dall’Unione Europea di fatto in Italia non troverà applicazione.
Per quanto concerne il danneggiamento di habitat  bisogna rilevare che, come detto in precedenza,  non si applica ovunque ma solo in determinate aree di siti protetti. Il che significa che non è una norma di portata generale su tutto il territorio. Se il danneggiamento di habitat avviene in un’area che magari è pregiata sotto il profilo ambientale ma che non rientra tra i siti protetti questa norma non sarà applicabile. Peraltro, l’esiguità della sanzione rischia di essere peggiorativa rispetto all’attuale sistema. Oggi tali condotte, vengono punite mediante l’applicazione, sulla scorta dell’evoluzione della giurisprudenza, di alcune norme del codice penale come per esempio l’art. 635, 2° comma n. 3 che punisce il danneggiamento aggravato di acque pubbliche. Ora se tale evento si verifica all’interno di un sito protetto si dovrà applicare il nuovo art. 733 bis che prevede, dunque, una pena più mite. Ma se si verifica fuori  da un sito protetto che succederà? Si continuerà a seguire l’orientamento giurisprudenziale e quindi ad applicare l’art. 635, comma 2 n.3 oppure no? In questo caso inquinare in un sito protetto determinerà una pena minore che se si inquinerà fuori da un sito protetto. Vi è, tuttavia, chi ritiene che tale preoccupazione sia infondata dal momento che l’art. 733 bis prevede la punibilità anche se il danneggiamento viene causato in un habitat naturale. Tale circostanza viene desunta dall’interpretazione letterale della nuova norma nella quale è previsto che “Ai fini dell’applicazione dell’articolo 733-bis del codice penale, per ‘habitat all’interno di un sitoprotetto’ si intende qualsiasi habitat di specie per le quali una zona sia classificata come zona atutela speciale a norma dell’articolo 4, paragrafi 1 o 2, della direttiva 79/409/CE, o qualsiasi habitat naturale o un habitat di specie per cui un sito sia designato come zona speciale di conservazione a norma dell’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva 92/43/CE”.
L’unico elemento sicuramente positivo contenuto nello schema di recepimento è allora rappresentato dalla estensione dell’applicazione del d.lgs. 231 del 2001 riguardante la responsabilità delle persone giuridiche per reati ambientali anche perché, come dimostrato da innumerevoli inchieste, i reati ambientali vengo compiuti nella maggior parte dei casi proprio per conseguire un profitto.
In conclusione sarebbe oltremodo necessario che il legislatore rivedesse la propria posizione e varasse una serie di norme che effettivamente puniscano in maniera adeguata gli illeciti ambientali.
Il recepimento della direttiva costituisce un’occasione preziosa per elaborare una seria politica di tutela penale dell’ambiente che, allo stato, si presenta assolutamente debole.
Diversamente si rischia di invalidare gli sforzi compiuti dal legislatore comunitario.

martedì 7 giugno 2011

CONVEGNO: LA TUTELA PENALE DELL'AMBIENTE


La nuova tutela penale dell’ambiente: in attuazione della Direttiva comunitaria 99/2008/CE
Il Consiglio Regionale Umbro di ITALIA NOSTRA  e ARPA UMBRIA
Vi invitano Venerdì 17 giugno 2011 – ore 9,00
al TEATRO CLITUNNO – TREVI (PERUGIA)
per il convegno
LA NUOVA TUTELA PENALE DELL’AMBIENTE
IN ATTUAZIONE DELLA DIRETTIVA COMUNITARIA 99/2008/CE
Programma:
SESSIONE DELLA MATTINA
Responsabilità delle società e vigilanza sui reati ambientali
Ore 9,30 – Presiede e introduce: Avv.Urbano Barelli, Vicepresidente nazionale Italia Nostra onlus
Saluti dell’Arch.Bernardino Sperandio, Sindaco del Comune di Trevi e dell’Avv.Gianfranco Angeli, Presidente del Consiglio regionale umbro di Italia Nostra
Ore 10,00 – La tutela dell’ambiente nella direttiva comunitaria 99/2008/CE
Avv.Giorgio Fusco Moffa, Italia Nostra, Presidente I.P.S.A.
Ore 10,30 - La responsabilità delle persone giuridiche per reati ambientali
Dott.Sergio Formisano, Sostituto procuratore presso il Tribunale di Perugia
Ore 11,00 – Il ruolo dell’Arpa nella vigilanza sui reati ambientali
Dott.Giancarlo Marchetti, ARPA Umbria
Ore 11,30 – Il ruolo dei Nuclei operativi ecologici dei Carabinieri
Cap.Giuseppe Schienalunga, Comandante Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri
Ore 12,00 – Dibattito
Interventi programmati: Dott.Silvano Rometti, Assessore regionale all’ambiente;On.Gianpiero Bocci, membro della Commissione ambiente della Camera dei Deputati
Ore 13,30 – Pausa pranzo

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SESSIONE DEL POMERIGGIO
Il reato di danneggiamento di habitat, la gestione e la vigilanza della Rete Natura 2000
Ore 15,00 – Il nuovo reato di danneggiamento di habitat
Dott.Francesco Novarese, Procuratore capo della Procura di Orvieto
Ore 15,30 – Autorizzazioni amministrative e danneggiamento di habitat
Avv.Mirco Ricci, Italia Nostra, I.P.S.A.
Ore 16,00 – La Rete Natura 2000 in Umbria
Dott.Paolo Papa/Dott.Raul Segatori, Servizio Aree Protette Regione Umbria
Ore 16,30 – Il ruolo dei Nuclei investigativi di polizia del Corpo Forestale dello Stato
Dott. Gaetano Palescandolo, Comandante del Nucleo investigativo di polizia del CFS
Ore 17,00 – Dibattito
Interventi programmati: Prof.Fernanda Cecchini, Assessore regionale all’agricoltura e alle aree protette; On.Francesco Ferrante, membro della Commissione ambiente del Senato.

Ore 18,00 – Conclusioni: Dott.Svedo Piccioni, Direttore Generale ARPA Umbria
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Presentazione
Dopo l’incontro pubblico del 13 dicembre 2010 nel quale sono state presentate le novità normative in materia di rifiuti di cui alla Direttiva 98/2008/CE, prosegue l’approfondimento della normativa comunitaria da parte di Italia Nostra Umbria e ARPA Umbria, questa volta in materia di tutela penale dell’ambiente.
Il Consiglio dei Ministri ha approvato, nella seduta del 7 aprile 2011, uno schema di decreto legislativo, che recepisce la Direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente, nonché la Direttiva 2009/123/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi.
Lo schema di decreto legislativo prevede:
a) l’introduzione nel codice penale di nuove figure contravvenzionali a tutela delle specie animali e vegetali selvatiche protette, nonché del loro habitat (art. 727 bis: “Uccisione, distruzione, cattura, prelievo o possesso di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette”; art. 733 bis: “Danneggiamento di habitat”);
b) l’inserimento tra i reati-presupposto della responsabilità amministrativa degli enti (nel nuovo art. 25 decies d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231), oltre che delle predette contravvenzioni di cui ai nuovi artt. 727 bis e 733 bis c.p., dei reati ambientali previsti dagli artt. 29 quattuordecies, 137, 256, 257 258, co. 4, 259, co. 1, 260, 260 bis e 279 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. t.u. ambientale), nonché di alcuni reati previsti: dalla l. 7 febbraio 1992, n. 150, in materia di specie animali e vegetali in via di estinzione e di commercializzazione e detenzione di mammiferi e rettili che possono costituire pericolo per la salute e l’incolumità pubblica; dall’art. 3, co. 6 l. 28 dicembre 1993, n. 549, in tema di tutela dell’ozono stratosferico e dell’ambiente;  dal d.lgs. 6 novembre 2007, n. 202, in tema di inquinamento provocato dalle navi.
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L’evento è accreditato dall’Ordine degli Avvocati di Spoleto, con il riconoscimento di n. 6 crediti formativi.