mercoledì 21 dicembre 2011

Proroga SISTRI

Prorogato al 2 aprile l'entrata in funzione del SISTRI.
Di seguito il link dove è possibile scaricare la bozza del decreto milleproroghe.
http://www.focusambiente.it/settore.php?idcat=7&idscat=18&page=1#2049

mercoledì 30 novembre 2011

Decisione della Commissione Europea del 18 novembre 2011. Criteri per il calcolo della preparazione per il riutilizzo

La Commissione Europea ha adottato la decisione che istituisce regole e modalità di calcolo per verificare il rispetto degli obiettivi di cui all’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio.
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2011:310:0011:0016:IT:PDF

domenica 13 novembre 2011

Congresso Nazionale di Italia Nostra 25 e 26 novembre 2011

Si svolgerà a Roma il Congresso Nazionale di Italia Nostra nel corso del quale svolgerò un intervento sulla realizzazione dell'autostrada Orte-Mestre.
Di seguito il link del programma
http://www.italianostra.org/wp-content/uploads/inv.corr_.ultimabis.pdf

sabato 5 novembre 2011

Convegno: Città e territorio tra crisi e crescita sostenibile


SABATO 12 NOVEMBRE 2O11 ORE 9,30
PERUGIA
città e territorio tra crisi e crescita sostenibile

Ore 9,30 - Patrimonio culturale e patrimonio industriale tra memoria e sviluppo 
Renato Covino, Presidente nazionale Aipai
Ore 10- Il punto su
il progetto del Mercato coperto
Carla Cicoletti, Associazione La città di tutti
centro storico, sicurezza e qualità della vita
Primo Tenca, Presidente Associazione Via Bonazzi-Porta Eburnea
l’operazione IKEA
Anna Rita Guarducci, Presidente del Circolo di Legambiente di Perugia
le aree verdi e le aree agricole di pregio
Antonella Pulci, Presidente Wwf Umbria
la trasformazione della E-45 in autostrada ed il Nodo di Perugia
Giorgio Fusco, Italia Nostra di Perugia
mobilità urbana e qualità dell’aria
Roberto Pellegrino, La Tramontana
il Parco fluviale del Tevere
Lauro Ciurnelli, Comitato per la salvaguardia di San Marino in campo 
Ore 12- Ambiente e qualità della vita per un futuro sostenibile
Urbano Barelli, Vicepresidente nazionale, Presidente di Perugia Italia Nostra 
Ore 12,30- Dibattito
                            
Sala Partecipazione del Consiglio regionale - Piazza Italia
Sono stati invitati a partecipare  
il Sindaco Wladimiro Boccali  e la Giunta comunale
Aipai (Associazioni italiana per il patrimonio industriale) - Associazione “La Città di tutti" – Associazione “Via Bonazzi-Porta Eburnea” – Comitato per la salvaguardia di San Martino in campo - Italia Nostra di Perugia - Legambiente Circolo di Perugia – La TramontanaWwf Umbria     
                   

sabato 17 settembre 2011

RACCOLTA ORGANICO IN UMBRIA

In Umbria, nonostante la previsione dell'art. 182 ter, l'organico si continua a raccogliere con sacchetti di plastica. La cosa grave è che i sacchetti di plastica vengono distribuiti direttamente dal gestore del servizio di igiene urbana.
Per questo motivo, insieme a Legambiente e Cittadinanzattiva, abbiamo deciso di inivare una diffida a tutti i soggetti competenti. Staremo a vedere se cambierà qualcosa altrimenti ci vedremo costretti a dare seguito alla diffida.wegambiente.it/contenuti/comunicati/raccolta-differenziata-legambiente-umbia-e-cittadinanzattiva-inviano-una-diffid

martedì 28 giugno 2011

Istituzione del Comitato paritetico per la Biodiversita', dell'Osservatorio nazionale per la Biodiversita' e del Tavolo di consultazione.

Sulla Gazzetta Ufficiale n. 143 del 22 giugno 2011 è stato pubblicato il DM 6 giugno 2011 che istituisce il Comitato paritetico per la Biodiversita', l'Osservatorio nazionale per la Biodiversita' e il Tavolo di consultazione in attuazione alla strategia nazionale per la biodiversità approvata il 7 ottobre 2010
http://www.gazzettaufficiale.it/guridb/dispatcher?service=1&datagu=2011-06-22&task=dettaglio&numgu=143&redaz=11A08165&tmstp=1309285279212.

lunedì 20 giugno 2011

I reati ambientali nella direttiva 99/2008

 

I reati ambientali nella Direttiva 99/2008/CE

1.    La direttiva 99/2008 del 19 novembre 2008 si colloca nell’ambito della politica di tutela dell’ambiente, perseguita con forza da parte dell’Unione Europea. All’interno della profonda crisi economica ma soprattutto ecologica che attanaglia il Pianeta, l’Europa ha impresso una forte accelerazione ai processi di tutela dell’ambiente anche attraverso una politica tesa ad uniformare le legislazioni statali.
L’ambiente, dunque, si erge a bene primario di fronte al quale tutti gli altri interessi diventano secondari. E ciò non per un fattore puramente ideologico bensì per un’esigenza di sopravvivenza della specie. Tutti i rapporti internazionali mettono oramai in luce i limiti del pianeta connessi all’incremento demografico, al crescente sfruttamento delle risorse e al costante aumento dell’inquinamento.
In altre parole il rapporto fra capitale naturale critico – inteso quale il livello minimo necessario alla riproducibilità biologica dell’ecosistema -  e la capacità di carico – intesa come la quantità di inquinamento e di rifiuti che il pianeta è in grado di sopportare – è entrato in crisi. I due concetti sono strettamente collegati nel senso che quando un sistema oltrepassa la propria capacità di carico, scende oltre il limite del capitale naturale critico.
Se a ciò si aggiunge che tale rottura si è verificata per soddisfare prevalentemente i bisogni dell’Occidente e che a questi potrebbero a breve sommarsi anche quelli dei c.d. Paesi in via di sviluppo, si ha la dimensione di quanto grave sia la situazione.
In questo quadro, dunque, tutelare l’ambiente diventa una priorità non procrastinabile che deve essere garantita anche attraverso efficienti ed efficaci normative sanzionatorie.
2.    Prima di entrare nel merito della direttiva 99/2008, è necessario svolgere alcune considerazioni sulla competenza comunitaria in materia penale che ha ricevuto un importante contributo dal Trattato di Lisbona, entrato in vigore 1 dicembre 2009.
In particolare l’art. 69B stabilisce che il Parlamento europeo e il Consiglio “possono stabilire norme minime relative alla definizione di reati e di sanzioni in sfere di criminalità particolarmente gravi che presentano una dimensione transnazionale derivante dal carattere o dalle implicazioni di tali reati o da una particolare necessità di combatterli su basi comuni”. Il Trattato definisce tali sfere di criminalità individuandole nel terrorismo, tratta degli esseri umani e sfruttamento sessuale delle donne e dei minori, traffico illecito di stupefacenti, traffico illecito di armi, riciclaggio di capitali, corruzione, contraffazione di mezzi di pagamento, criminalità informatica e criminalità organizzata e riserva al Consiglio, in una ottica di adeguato contrasto alle forme di evoluzione della criminalità, il potere di adottare decisioni che individuino altre sfere di criminalità.
Qualora, tuttavia, un membro del Consiglio ritenga che un progetto di direttiva incida su aspetti fondamentali del proprio ordinamento giuridico penale, può chiedere che il Consiglio europeo sia investito della questione. In tal caso la procedura legislativa ordinaria è sospesa. Previa discussione e in caso di consenso, il Consiglio europeo, entro quattro mesi da tale sospensione, rinvia il progetto al Consiglio, ponendo fine alla sospensione della procedura legislativa ordinaria.
In caso di disaccordo e sussistendone i requisiti, si può comunque dare avvio alla procedura di cooperazione forzata.
Sotto questo profilo non vi è dubbio che la tecnica di redazione utilizzata dal legislatore comunitario che prevede l’inserimento di norme minime incide profondamente sulla tipicità del reato, sull’elemento soggettivo ed oggettivo e sulla sanzione penale da applicare.
Da ciò ne discende un’influenza sempre maggiore del diritto comunitario sul diritto interno.
Già la Corte di Giustizia con la sentenza del 13 settembre 2005 nella causa 176 del 2003  aveva affermato che La circostanza che la Comunità non disponga in via generale di una competenza in materia penale non impedisce al legislatore comunitario di disporre un'armonizzazione delle legislazioni penali nazionali allorché ciò sia necessario al fine di garantire la piena efficacia delle norme che esso emana in materia di tutela dell'ambiente.
Un ruolo fondamentale è ricoperto poi dalla sentenza del 23 ottobre 2007 nella causa C440/2005 della Grande sezione della Corte di Giustizia dove viene affermato che “in principio, la legislazione penale, così come le norme di procedura penale, non rientrano nella competenza della Comunità. Tuttavia, il fatto che il legislatore comunitario, allorché l'applicazione di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive da parte delle competenti autorità nazionali costituisce una misura indispensabile di lotta contro danni ambientali gravi, può imporre agli Stati membri l'obbligo di introdurre tali sanzioni per garantire la piena efficacia delle norme che emana. Per contro, la Comunità non può determinare il tipo e il livello delle sanzioni penali e procedere quindi all'armonizzazione delle legislazioni penali degli Stati membri”.
Alla luce del Trattato di Lisbona, poi, ogni settore che soddisfa le esigenze del progetto europeo diviene, potenzialmente, oggetto della competenza penale prevista dall’art. 69B.
Di qui la nuova dimensione del diritto comunitario che è oramai avviato a determinare forme di incidenza sempre maggiori verso il diritto penale interno.
3.    La competenza comunitaria a prevedere obblighi di penalizzazione pone tuttavia il  problema del rapporto con il principio di legalità degli Stati membri con particolare riferimento alla riserva assoluta di legge in materia penale.
In dottrina si è sempre sostenuto che la legislazione comunitaria e la primazia del diritto comunitario incontrano un ostacolo, in materia di diritto penale, costituito dalla previsione della riserva assoluta di legge e più a monte dalla vigenza, nel nostro ordinamento interno, del principio di legalità inteso sia nella sua accezione formale quanto in quella sostanziale. Tuttavia tale assunto, alla luce della sentenza del 13 settembre 2005  C 176/03 e 23 ottobre 2007 C440/2005 della Corte di Giustizia, ed in virtù delle esigenze di tutela penale introdotte dal Trattato di Lisbona, necessita di una rivisitazione in chiave critica.
Oggi, infatti, vi è l’esigenza di trovare un punto di equilibrio fra diritto comunitario e diritto interno in materia penale anche perché la mancata osservanza al precetto comunitario da parte dello Stato membro comporta  l’apertura di una procedura di infrazione per mancata ottemperanza.
Se così è, il principio della riserva di legge sembra dunque destinato inesorabilmente a soccombere quanto meno nella sua dimensione sostanziale. Ne residuerà il rispetto della riserva di legge sotto il profilo formale, atteso che il legislatore nazionale sarà chiamato a dare attuazione alle direttive in materia penale in funzione di esecutore delle scelte di penalizzazione provenienti dal legislatore europeo.
La norma penale comunitaria, come correttamente osservato da alcuni autori, avrà la natura di una “legge penale in bianco inversa” dove viene rimesso al legislatore nazionale il compito di descrivere nel dettaglio e sanzionare penalmente una condotta il cui disvalore penale le viene ad essere assegnato direttamente dalla norma comunitaria.
4.    Venendo ora all’esame della Direttiva 2008/99/CE si osserva che i termini di reperimento erano stati fissati al 26 dicembre 2010 e l’Italia, a tutt’oggi, ancora non vi ha provveduto.
La direttiva ricopre una notevole importanza perchè obbliga gli stati membri a prevedere nella loro legislazione nazionale sanzioni penali maggiormente dissuasive ed adeguate tanto per le persone fisiche quanto per le persone giuridiche in relazione ad una serie di reati in materia di tutela ambientale specicatamente individuati.  La scelta di obbligare gli Stati a prevedere sanzioni penali è spiegata nel 3° considerando con il fatto che queste sono indice di una riprovazione sociale di natura qualitativamente diversa rispetto alle sanzioni amministrative o ai meccanismi risarcitori di diritto civile
La motivazione della direttiva è esplicitata nel 2° considerando là dove si afferma che “la Comunità è preoccupata per l’aumento dei reati ambientali […] che rappresentano una minaccia per l’ambiente ed esigono pertanto una risposta adeguata”.
Sotto questo profilo il legislatore comunitario ritiene che per conseguire un’efficacia tutela dell’ambiente siano necessarie sanzioni maggiormente dissuasive.
Tant’è che all’art. 5 prevede che gli Stati membri debbano adottare misure necessarie per assicurare che i reati previsti nella direttiva siano puniti con sanzioni penali efficaci, proporzionate e dissuasive disponendo, altresì che l’inosservanza di un obbligo di agire può avere gli stessi effetti del comportamento attivo e dovrebbe quindi essere parimenti passibile di sanzioni adeguate.
Scorrendo al direttiva si nota poi che al 12° considerando si afferma che “poiché la presente direttiva detta soltanto norme minime, gli Stati membri hanno facoltà di mantenere in vigore o adottare misure più stringenti finalizzate ad un’efficace tutela penale dell’ambiente”.
Il fatto che la Direttiva faccia riferimento alle norme minime esclude dunque che il legislatore nazionale possa prevedere sanzioni amministrative in luogo di quelle penali.
Nello specifico, la direttiva 99/2008 prevede all’art. 3 che gli stati membri prevedano e puniscano nella loro normativa  una serie di reati qualora siano commessi intenzionalmente o quanto meno per grave negligenza.
Sotto questo aspetto se si dovesse ricondurre la grave negligenza alle categorie del diritto interno si dovrebbe pensare alla c.d. colpa cosciente con tutto ciò che questo comporta sotto il profilo dell’elemento soggettivo e della prova. Sul punto un intervento chiarificatore da parte del legislatore italiano sarebbe stato quanto mai auspicato ma purtroppo non si rinviene nello schema di recepimento della direttiva.
In particolare i reati previsti nella direttiva riguardano 9 fattispecie e precisamente:
a)      lo scarico, l’emissione o l’immissione illeciti di un quantitativo di sostanze o radiazioni ionizzanti nell’aria, nel suolo o nelle acque che provochino o possano provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, alla qualità del suolo o alla qualità delle acque, ovvero alla fauna o alla flora;
b)       la raccolta, il trasporto, il recupero o lo smaltimento di rifiuti, comprese la sorveglianza di tali operazioni e il controllo dei siti di smaltimento successivo alla loro chiusura nonché l’attività effettuata in quanto commerciante o intermediario (gestione dei rifiuti), che provochi o possa provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, alla qualità del suolo o alla qualità delle acque, ovvero alla fauna o alla flora;
c)      la spedizione di rifiuti, qualora tale attività rientri nell’ambito dell’articolo 2, paragrafo 335, del regolamento (CE) n. 1013/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006, relativo alle spedizioni di rifiuti (1), e sia effettuata in quantità non trascurabile in un’unica spedizione o in più spedizioni che risultino fra di loro connesse;
d)     l’esercizio di un impianto in cui sono svolte attività pericolose o nelle quali siano depositate o utilizzate sostanze o preparazioni pericolose che provochi o possa provocare, all’esterno dell’impianto, il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, alla qualità del suolo o alla qualità delle acque, ovvero alla fauna o alla flora;
e)      la produzione, la lavorazione, il trattamento, l’uso, la conservazione, il deposito, il trasporto, l’importazione, l’esportazione e lo smaltimento di materiali nucleari o di altre sostanze radioattive pericolose che provochino o possano provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, alla qualità del suolo o alla qualità delle acque, ovvero alla fauna o alla flora;
f)       l’uccisione, la distruzione, il possesso o il prelievo di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette, salvo i casi in cui l’azione riguardi una quantità trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie;
g)      il commercio di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette o di parti di esse o di prodotti derivati, salvo i casi in cui l’azione riguardi una quantità trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie;
h)      qualsiasi azione che provochi il significativo deterioramento di un habitat all’interno di un sito protetto;
i)        la produzione, l’importazione, l’esportazione, l’immissione sul mercato o l’uso di sostanze che riducono lo strato di ozono.
Con riguardo a questi reati la Direttiva introduce il reato di favoreggiamento prevedendo, all’art. 4 che “gli Stati  Membri provvedano affinché siano punibili penalmente il favoreggiamento e l’istigazione a commettere intenzionalmente le attività di cui all’articolo 3”.
Altra importante novità è rappresentata dall’introduzione della responsabilità delle persone giuridiche quando i reati di cui agli artt. 3 e 4 siano  stati commessi a loro vantaggio da qualsiasi soggetto che detenga una posizione preminente in seno alla persona giuridica, individualmente o in quanto parte di un organo della persona giuridica, in virtù:
a) del potere di rappresentanza della persona giuridica;
b) del potere di prendere decisioni per conto della persona
giuridica; o
c) del potere di esercitare un controllo in seno alla persona giuridica.
Gli Stati membri provvedono altresì affinché le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili quando la carenza di sorveglianza o controllo da parte di un soggetto di cui al paragrafo 1 abbia reso possibile la commissione di un reato di cui agli articoli 3 e 4 a vantaggio della persona giuridica da parte di una persona soggetta alla sua autorità.
La responsabilità delle persone giuridiche ai sensi dei paragrafi 1 e 2 non esclude l’azione penale nei confronti delle persone fisiche che siano autori, incitatori o complici dei reati di cui agli articoli 3 e 4.
Nella legislazione italiana era già presente un germe di responsabilità delle persone giuridiche in materia ambientale. Il riferimento si rinviene nell’art. 192 del d.lgs. 152/2006 in tema di abbandono di rifiuti. Sul punto, tuttavia, è intervenuta la Cassazione stabilendo che “in tema di tutela penale dell'ambiente, non è imputabile all'ente ai sensi del d.lg. 8 giugno 2001, n. 231 la responsabilità amministrativa per il reato di gestione non autorizzata di rifiuti, in quanto, pur essendovi un richiamo a tale responsabilità nell'art. 192, comma 4, d.lg. 3 aprile 2006, n. 152, difettano attualmente sia la tipizzazione degli illeciti che l'indicazione delle sanzioni(Cassazione penale, sez. III, 7 ottobre 2008, n.41329).
Alla luce di quanto sopra viene da chiedersi come mai l’Italia, che rappresenta una Nazione nella quale i fenomeni di ecomafia e di criminalità ambientale sono gravissimi e diffusi, non abbia colto l’occasione della Direttiva europea per introdurre reati delittuosi e sanzioni efficaci e dissuasive. Il recepimento della Direttiva, infatti, stando allo schema di recepimento approvato ad aprile scorso, è ben lontano da questo obiettivo. Se lo spirito europeo era, infatti, quello di assicurare un’adeguata tutela penale dell’ambiente, individuando una lunga serie di reati ambientali da punire con sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, l’Italia, si prepara a recepirla in maniera assolutamente formale, elaborando una legislazione penale ambientale debole, completamente inefficace e scarsamente deterrente. Tali norme incriminatrici di natura contravvenzionale non avranno alcun effetto dissuasivo poiché presentano pene irrisorie e tempi di prescrizione brevissimi.
Ed infatti, lo schema di decreto legislativo si limita a recepire le indicazioni della direttiva inserendo solo due articoli nel codice penale ritenendo, di fatto, già recepite le altre fattispecie con le norme contenute nelle attuali legislazioni speciali.
Gli articoli introdotti nel codice sono il 727 bis che riguarda l’Uccisione, distruzione, cattura, prelievo o possesso di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette con pene comprese da uno a sei mesi e con ammende che variano, a seconda delle fattispecie da 2.000 a 4.000 euro; e l’art.  733 bis (Danneggiamento di habitat) che prevede che Chiunque distrugge o comunque deteriora in modo significativo un habitat all’interno di un sito protetto è punito con l’arresto fino a diciotto mesi e con l’ammenda non inferiore a 3.000 euro.” Dove per habitat all’interno di un sito protetto si intende qualsiasi habitat di specie per le quali una zona sia classificata come zona a tutela speciale a norma dell’articolo 4, paragrafi 1 o 2, della direttiva 79/409/CE, o qualsiasi habitat naturale o un habitat di specie per cui un sito sia designato come zona speciale di conservazione a norma dell’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva 92/43/CE.
5.    Ora, analizzando in maniera più approfondita la direttiva 99/2008 si nota che essa elenca tutta una serie di azioni la cui punibilità dipende dal fatto che queste, oltre a violare le disposizioni di legge, arrecano o possono arrecare un grave pregiudizio all’ambiente e/o alle persone.
Lo schema di recepimento della direttiva, fatta eccezione per l’art. 727 bis e 733bis, rimanda, come detto, alle norme presenti già nel codice dell’ambiente o in altre leggi speciali le quali, a ben vedere, prevedono la violazione di aspetti formali quali la mancanza di autorizzazione, l’inosservanza della tenuta delle scritture ambientali ecc. e non già il danno ambientale causato.
Quindi, come osservato correttamente da Santoloci, non inquina chi inquina realmente ma chi non rispetta le regole formali per inquinare. Questo fa sì che la tutela richiesta dall’Unione Europea di fatto in Italia non troverà applicazione.
Per quanto concerne il danneggiamento di habitat  bisogna rilevare che, come detto in precedenza,  non si applica ovunque ma solo in determinate aree di siti protetti. Il che significa che non è una norma di portata generale su tutto il territorio. Se il danneggiamento di habitat avviene in un’area che magari è pregiata sotto il profilo ambientale ma che non rientra tra i siti protetti questa norma non sarà applicabile. Peraltro, l’esiguità della sanzione rischia di essere peggiorativa rispetto all’attuale sistema. Oggi tali condotte, vengono punite mediante l’applicazione, sulla scorta dell’evoluzione della giurisprudenza, di alcune norme del codice penale come per esempio l’art. 635, 2° comma n. 3 che punisce il danneggiamento aggravato di acque pubbliche. Ora se tale evento si verifica all’interno di un sito protetto si dovrà applicare il nuovo art. 733 bis che prevede, dunque, una pena più mite. Ma se si verifica fuori  da un sito protetto che succederà? Si continuerà a seguire l’orientamento giurisprudenziale e quindi ad applicare l’art. 635, comma 2 n.3 oppure no? In questo caso inquinare in un sito protetto determinerà una pena minore che se si inquinerà fuori da un sito protetto. Vi è, tuttavia, chi ritiene che tale preoccupazione sia infondata dal momento che l’art. 733 bis prevede la punibilità anche se il danneggiamento viene causato in un habitat naturale. Tale circostanza viene desunta dall’interpretazione letterale della nuova norma nella quale è previsto che “Ai fini dell’applicazione dell’articolo 733-bis del codice penale, per ‘habitat all’interno di un sitoprotetto’ si intende qualsiasi habitat di specie per le quali una zona sia classificata come zona atutela speciale a norma dell’articolo 4, paragrafi 1 o 2, della direttiva 79/409/CE, o qualsiasi habitat naturale o un habitat di specie per cui un sito sia designato come zona speciale di conservazione a norma dell’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva 92/43/CE”.
L’unico elemento sicuramente positivo contenuto nello schema di recepimento è allora rappresentato dalla estensione dell’applicazione del d.lgs. 231 del 2001 riguardante la responsabilità delle persone giuridiche per reati ambientali anche perché, come dimostrato da innumerevoli inchieste, i reati ambientali vengo compiuti nella maggior parte dei casi proprio per conseguire un profitto.
In conclusione sarebbe oltremodo necessario che il legislatore rivedesse la propria posizione e varasse una serie di norme che effettivamente puniscano in maniera adeguata gli illeciti ambientali.
Il recepimento della direttiva costituisce un’occasione preziosa per elaborare una seria politica di tutela penale dell’ambiente che, allo stato, si presenta assolutamente debole.
Diversamente si rischia di invalidare gli sforzi compiuti dal legislatore comunitario.

martedì 7 giugno 2011

CONVEGNO: LA TUTELA PENALE DELL'AMBIENTE


La nuova tutela penale dell’ambiente: in attuazione della Direttiva comunitaria 99/2008/CE
Il Consiglio Regionale Umbro di ITALIA NOSTRA  e ARPA UMBRIA
Vi invitano Venerdì 17 giugno 2011 – ore 9,00
al TEATRO CLITUNNO – TREVI (PERUGIA)
per il convegno
LA NUOVA TUTELA PENALE DELL’AMBIENTE
IN ATTUAZIONE DELLA DIRETTIVA COMUNITARIA 99/2008/CE
Programma:
SESSIONE DELLA MATTINA
Responsabilità delle società e vigilanza sui reati ambientali
Ore 9,30 – Presiede e introduce: Avv.Urbano Barelli, Vicepresidente nazionale Italia Nostra onlus
Saluti dell’Arch.Bernardino Sperandio, Sindaco del Comune di Trevi e dell’Avv.Gianfranco Angeli, Presidente del Consiglio regionale umbro di Italia Nostra
Ore 10,00 – La tutela dell’ambiente nella direttiva comunitaria 99/2008/CE
Avv.Giorgio Fusco Moffa, Italia Nostra, Presidente I.P.S.A.
Ore 10,30 - La responsabilità delle persone giuridiche per reati ambientali
Dott.Sergio Formisano, Sostituto procuratore presso il Tribunale di Perugia
Ore 11,00 – Il ruolo dell’Arpa nella vigilanza sui reati ambientali
Dott.Giancarlo Marchetti, ARPA Umbria
Ore 11,30 – Il ruolo dei Nuclei operativi ecologici dei Carabinieri
Cap.Giuseppe Schienalunga, Comandante Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri
Ore 12,00 – Dibattito
Interventi programmati: Dott.Silvano Rometti, Assessore regionale all’ambiente;On.Gianpiero Bocci, membro della Commissione ambiente della Camera dei Deputati
Ore 13,30 – Pausa pranzo

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SESSIONE DEL POMERIGGIO
Il reato di danneggiamento di habitat, la gestione e la vigilanza della Rete Natura 2000
Ore 15,00 – Il nuovo reato di danneggiamento di habitat
Dott.Francesco Novarese, Procuratore capo della Procura di Orvieto
Ore 15,30 – Autorizzazioni amministrative e danneggiamento di habitat
Avv.Mirco Ricci, Italia Nostra, I.P.S.A.
Ore 16,00 – La Rete Natura 2000 in Umbria
Dott.Paolo Papa/Dott.Raul Segatori, Servizio Aree Protette Regione Umbria
Ore 16,30 – Il ruolo dei Nuclei investigativi di polizia del Corpo Forestale dello Stato
Dott. Gaetano Palescandolo, Comandante del Nucleo investigativo di polizia del CFS
Ore 17,00 – Dibattito
Interventi programmati: Prof.Fernanda Cecchini, Assessore regionale all’agricoltura e alle aree protette; On.Francesco Ferrante, membro della Commissione ambiente del Senato.

Ore 18,00 – Conclusioni: Dott.Svedo Piccioni, Direttore Generale ARPA Umbria
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Presentazione
Dopo l’incontro pubblico del 13 dicembre 2010 nel quale sono state presentate le novità normative in materia di rifiuti di cui alla Direttiva 98/2008/CE, prosegue l’approfondimento della normativa comunitaria da parte di Italia Nostra Umbria e ARPA Umbria, questa volta in materia di tutela penale dell’ambiente.
Il Consiglio dei Ministri ha approvato, nella seduta del 7 aprile 2011, uno schema di decreto legislativo, che recepisce la Direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente, nonché la Direttiva 2009/123/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi.
Lo schema di decreto legislativo prevede:
a) l’introduzione nel codice penale di nuove figure contravvenzionali a tutela delle specie animali e vegetali selvatiche protette, nonché del loro habitat (art. 727 bis: “Uccisione, distruzione, cattura, prelievo o possesso di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette”; art. 733 bis: “Danneggiamento di habitat”);
b) l’inserimento tra i reati-presupposto della responsabilità amministrativa degli enti (nel nuovo art. 25 decies d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231), oltre che delle predette contravvenzioni di cui ai nuovi artt. 727 bis e 733 bis c.p., dei reati ambientali previsti dagli artt. 29 quattuordecies, 137, 256, 257 258, co. 4, 259, co. 1, 260, 260 bis e 279 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. t.u. ambientale), nonché di alcuni reati previsti: dalla l. 7 febbraio 1992, n. 150, in materia di specie animali e vegetali in via di estinzione e di commercializzazione e detenzione di mammiferi e rettili che possono costituire pericolo per la salute e l’incolumità pubblica; dall’art. 3, co. 6 l. 28 dicembre 1993, n. 549, in tema di tutela dell’ozono stratosferico e dell’ambiente;  dal d.lgs. 6 novembre 2007, n. 202, in tema di inquinamento provocato dalle navi.
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L’evento è accreditato dall’Ordine degli Avvocati di Spoleto, con il riconoscimento di n. 6 crediti formativi.

sabato 21 maggio 2011

Acquisti verdi della Pubblica Amministrazione



AUTORITA' PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI E FORNITURE

COMUNICATO

Rilevazione degli appalti che rispettano 
i criteri di  sostenibilita'
ambientale (Green Public Procurement-GPP)
http://www.gazzettaufficiale.it/guridb//
dispatcher?task=attoCompleto&service=1&datagu=
2011-05-19&redaz=11A06297&connote=true

L'Umbria e la Green Economy: brevi riflessioni


L’Umbria e la Green Economy

Brevi riflessioni


In Umbria si continua a parlare di green economy. Il DAP lo ha posto al centro della politica regionale ritenendo che fosse il nuovo modello di sviluppo.
Ma è davvero così? Procediamo per gradi.
Innanzitutto parlare di green economy significa avere il coraggio di mettere in discussione un modello di produzione e scambio c.d. lineare per passare ad un modello invece circolare in cui i prodotti che vengono utilizzati per realizzare i beni, alla fine del ciclo di vita, possono essere recuperati per essere reimmessi nel circuito produttivo.  In questo senso bisogna allora spingere ed incentivare il sistema produttivo a progettare e realizzare beni che abbiano una composizione più semplice in termini di materiali impiegati, che abbiano un ciclo di vita più lungo e multiuso e che a fine vita possano essere agevolmente riciclati.
Per fare ciò è necessario innanzitutto capire qual è lo scenario all’interno del quale deve svilupparsi la green economy. Sotto questo aspetto non è possibile seguire un approccio settoriale ma è necessario elaborare politiche globali in grado di considerare tutti gli aspetti ambientali. Non volendo arrivare alle estreme conclusioni proposte dalla pur valida teoria della decrescita felice e volendo rimanere, per così dire, organici al sistema, è quanto meno non più procrastinabile seguire un approccio basato su uno sviluppo sostenibile. Ed affinchè le parole ed i concetti abbiano ancora un senso e non diventino meri slogan, per sviluppo sostenibile si intende lo sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni così come definito nel “Rapporto Brundtland” del 1987.
Se così è, non si può prescindere da un’analisi complessiva del sistema. Si può avere sviluppo sostenibile e, conseguentemente, si può sviluppare una green economy, soltanto se si ha uno sguardo d’insieme dell’ambiente. E poiché oggi ogni settore è dominato dal diritto e dalle regole un utile strumento per definire lo scenario entro il quale sviluppare questa nuova politica economica in Italia è rappresentato dalla Strategia nazionale per la biodiversità approvata in Conferenza Stato-Regioni l’8 ottobre 2010. Essa individua 15 aree di intervento che sostanzialmente abbracciano l’interno habitat che ci circonda. Parimenti utile è il rapporto UNEP sulla Green Economy pubblicato all’inizio del 2011.
Così concretamente definito l’ambiente ecco che si pone l’esigenza di varare politiche di pianificazione in grado di valutare ogni possibile impatto negativo sull’ambiente. L’ambiente, dunque, si erge a bene primario di fronte al quale tutti gli altri interessi diventano secondari. E ciò non per un fattore puramente ideologico bensì per un’esigenza di sopravvivenza della specie. Tutti i rapporti mondiali mettono oramai in luce i limiti del pianeta connessi all’incremento demografico ed al crescente sfruttamento delle risorse.
In altre parole il rapporto fra capitale naturale critico – inteso quale il livello minimo necessario alla riproducibilità biologica dell’ecosistema -  e la capacità di carico – intesa come la quantità di inquinamento e di rifiuti che i pianeta è in grado di sopportare – è entrato in crisi. I due concetti sono, infatti, strettamente collegati nel senso che quando un sistema oltrepassa la propria capacità di carico, scende oltre il limite del capitale naturale critico.
Se a ciò si aggiunge che tale rottura si è verificata per soddisfare prevalentemente i bisogni dell’Occidente e che a questi potrebbero a breve sommarsi anche quelli dei c.d. Paesi in via di sviluppo, si ha la dimensione di quanto grave sia la situazione.
Oggi, lo stato ambientale si sta sostituendo allo stato sociale poiché è cresciuta la consapevolezza di dover tutelare l’ambiente e perché un ambiente sano contribuisce a migliorare la qualità della vita. Tant’è che anche in Italia è stata costituita una commissione, su iniziativa del CNEL e dell’ISTAT, per individuare ulteriori indicatori del PIL che possano misurare proprio il benessere ambientale
Le tematiche ambientali non rappresentano più un argomento di conversazione di un’elite di idealisti. Come osservato da Massimo Severo Giannini nel  1972 quando la forza distruttiva dell’uomo supera la fora costruttiva ecco che sorge l’esigenza di far assurgere l’interesse all’ambiente quale interesse giuridicamente tutelato. Da allora, a livello legislativo, soprattutto a livello europeo e mondiale molto è stato fatto. Tuttavia, si rischia di rendere vano ogni sforzo se non si comprende che le politiche ambientali devono avere un ruolo primario all’interno delle politiche pubbliche e non possono essere relegate a settori di nicchia o, peggio ancora, rappresentare l’occasione per mere operazioni di speculazione imprenditoriale in nome dello sviluppo sostenibile.
Partendo da queste considerazioni, si va affermando una convinzione: per avviare uno sviluppo durevole è oggi necessario puntare su una crescita ecologicamente sostenibile.
Ecco, allora, che in questo scenario, l’Economia Verde rappresenta la strada maestra poiché coniuga sviluppo economico, livelli occupazionali e tutela dell’ambiente. 
Nel rapporto UNEP sull’Economia Verde, pubblicato a febbraio 2011, si legge che è tale «un’economia che comporta un miglioramento del benessere umano e dell’eguaglianza sociale, riducendo in maniera significativa i rischi per l’ambiente e la scarsità delle risorse. Nella sua forma più semplice, si caratterizza per un debole tasso di emissione del carbone, l’utilizzazione razionale delle risorse e l’inclusione sociale. In questo tipo di economia, la crescita dei ritorni e degli impieghi deve provenire da investimenti pubblici e privati che riducono le emissioni di carbone e l’inquinamento, rafforzano l’utilizzo razionale delle risorse e l’efficienza energetica e impediscono la perdita della biodiversità e dei servizi ambientali.
E’ necessario che questi investimenti siano catalizzati e supportati da spese pubbliche mirate, una riforma delle politiche e delle modifiche della regolamentazione».
A tal fine  vengono individuati 11 settori chiave  - agricoltura, pesca, acqua, foreste, energie rinnovabili, industria, rifiuti, edilizia, trasporti, turismo e città - per superare l'attuale modello economico basato su sprechi e risorse poco sostenibili.  Principi già in parte presenti nel contesto della strategia della Commissione europea «Europa 2020 - Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva».
L’ambiente diventa elemento centrale delle politiche di sviluppo poiché rappresenta il contenitore all’interno e nel rispetto del quale può concretizzarsi una crescita sostenibile.
Si rende, però, necessario adottare misure d’intervento strutturali caratterizzate da una pianificazione complessiva del territorio che possa, nel breve-medio periodo, determinare una riconversione degli attuali modelli industriali ed al contempo promuoverne dei nuovi. Sarebbe, infatti, un grave errore seguire un approccio settoriale proponendo e perseguendo modelli di sviluppo per singole aree di intervento del tutto slegate dai restanti comparti.
Ad esempio, nel settore dei rifiuti non è immaginabile perseguire gli obiettivi dettati da ultimo dalla Direttiva 98/2008/CE se si prescinde dalle azioni di prevenzione che impongono l’adozione di un diverso modello produttivo. Nel rapporto UNEP sulla Economia Verde viene espressamente affermato che l’incremento del volume e la complessità dei rifiuti unito alla crescita economica possono mettere a serio rischio l’ecosistema e la vita umana.
Così come nel settore energetico non è pensabile di soddisfare il fabbisogno energetico utilizzando le fonti rinnovabili oppure ridurre le immissioni di gas di serra se non si perseguono politiche di miglioramento dell’efficienza energetica. Al riguardo è emblematico quanto dichiarato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite il quale, annunciando che il 2012 sarà l’anno  internazionale per dell’energia sostenibile, ha affermato che «la nostra sfida  è la trasformazione. Abbiamo bisogno di una rivoluzione globale per l'energia pulita, una rivoluzione che renda l'energia disponibile e accessibile a tutti. È essenziale per rendere minimi i rischi climatici, per ridurre la povertà e migliorare la salute del Pianeta, la crescita economica, la pace e la sicurezza».
Per fare tutto ciò, oltre a quanto detto in precedenza, è necessario sviluppare un nuovo modello di governance ambientale sì da creare una sinergia fra amministrazione pubblica, sistema imprenditoriale, associazioni ambientaliste e cittadini improntato innanzitutto alla diffusione di una nuova consapevolezza verso le tematiche ambientali.
In questa ottica è indispensabile innanzitutto procedere con una capillare attività di informazione e formazione che possa riguardare le scuole, le amministrazioni pubbliche, le imprese ed i cittadini.
Creare poi stabili forme di collaborazione con il sistema imprenditoriale è fondamentale dal momento che esso è il principale attore dello sviluppo economico ed occupazionale.
Fallito il vecchio modello produttivo, infatti, le imprese si trovano oggi a fronteggiare la concorrenza sul terreno della tecnologia, della conoscenza, dell’innovazione e della ricerca. In questo senso, economia della conoscenza ed Economia Verde sono due facce della stessa medaglia.
Tornando all’Umbria si osserva che nel DAP 2011 si legge, fra l’altro, che «occorre mettere in campo azioni fortemente innovative, orientate a diffondere l’interesse e l’attenzione per le opportunità di nuovi business derivanti dalla ricerca, dalla sua applicazione e dalla combinazione delle diverse 'tecnologie verdi', costruendo in tal modo un orizzonte prospettico per il sistema produttivo regionale».
Nei fatti, tuttavia, nulla si muove.